Come si muore per radiazioni

Le dosi-equivalenti sono specificate in sievert (Sv); 1 sievert equivale a 100 rem.

Da 0,001 a 0,01 Sv (da 0,1 a 1 rem)
Si calcola che fisiologicamente il corpo è esposto a 0,1 millirem in 24 ore (pari a circa 0,036 rem in un anno): una parte è ineliminabile, poiché viene emanata, per esempio, dall’isotopo radioattivo del potassio naturale (K40), presente all’interno di ogni cellula umana, che irradia quotidianamente tutto il corpo dall’interno. Volendo eliminare tutto il potassio (radioattivo e no), si provocherebbe morte per edema congestizio, ipertensione arteriosa e debolezza muscolare, oltre a insufficienza cardiaca.
Il principale elemento radioattivo estraneo all’organismo, che si trova nell’ambiente, specialmente in aree con qualche tipo di vulcanismo oppure faglie sismiche, è il gas radon. Questo gas, prodotto del decadimento del radio, è più pesante dell’aria e si accumula nelle parti più declivi delle valli, soprattutto in sotterranei e primi piani non ben ventilati. Esistono in commercio dispositivi in grado di rilevare il radon.
Nelle aree con rocce granitiche o basaltiche, che hanno subito un intenso metamorfismo all’interno della crosta terrestre, un contributo alla dose annuale è fornito dagli isotopi radioattivi quali il torio, l’uranio e il radio. Questo contributo varia da luogo a luogo e dipende dal tipo di minerali presenti nel suolo circostante o nei materiali da costruzione utilizzati (come il tufo).
Ogni ora di volo in aerei di linea alla quota usuale di 10 000 m sottopone l’organismo a irradiazione di raggi cosmici gamma di valore variabile in funzione anche delle tempeste solari e con valori compresi tra radiazioni da 0,1 a 1 millirem/h (massime nel Concorde che volava a 20 000 m), e dunque 10 ore di volo intercontinentale possono dare dosi complessive superiori a 1 millirem, e in 100 voli/anno si possono totalizzare anche 0,300 rem/anno o più. La dose è frazionata, perciò dovrebbe indurre meno rotture cromosomiche e meno stress da radicali liberi dell’ossigeno.
Uno studio canadese pubblicato nel 1998 ha suggerito che una dose di 1 rem (0,01 Sv) ricevuta su tutto il corpo in una sola giornata comporta un aumento del rischio cumulativo per tutti i tipi di tumori del 3%.
Uno studio dell’IARC sugli effetti della dose cumulativa media (1,9 rem) ricevuta da 600 000 lavoratori dell’industria nucleare nel mondo ha stabilito l’aumento della mortalità per tutte le cause è paragonabile a quella nei dintorni di Hiroshima.

Da 0,05 a 0,2 Sv (da 5 a 20 rem)
Nessun sintomo. Alcuni ricercatori sostengono che piccole dosi di radiazioni possano essere benefiche.

Negli Stati Uniti esiste un limite federale annuo di 50 mSv, applicabile ai lavoratori esposti a sostanze e procedure radioattive. Nel Regno Unito il limite annuo per un lavoratore classificato come “operatore con radiazione” è di 20 mSv. In Canada e in Brasile il limite annuo massimo è di 50 mSv (5 000 millirem), ma la dose massima che si può assumere in 5 anni è pari a soli 100 mSv. Di solito i limiti specificati dalle compagnie private sono molto più stretti, per evitare qualsiasi violazione casuale dei limiti federali.

Da 0,2 a 0,5 Sv (da 20 a 50 rem)
Nessun sintomo apparente. Il numero dei globuli bianchi diminuisce temporaneamente.

Da 0,5 a 1 Sv (da 50 a 100 rem)
Malattia da raggi lieve con cefalea e un modesto aumento del rischio d’infezione causato da alterazioni al sistema immunitario. Possibile la sterilità maschile temporanea.

Da 1 a 2 Sv (da 100 a 200 rem)
L'”avvelenamento radioattivo lieve” comporta un 10% di mortalità dopo 30 giorni (LD 10/30). I sintomi tipici includono nausea da lieve a moderata (con un 50% di probabilità a 2 Sv), con vomito occasionale, che comincia da 3 a 6 ore dopo l’irraggiamento e permane per circa un giorno. È seguito da una fase latente che dura da 10 a 14 giorni, quando appaiono sintomi lievi di astenia e malessere generale (con un 50% di probabilità ai 2 Sv). Il sistema immunitario va incontro a depressione, cosa che provoca un periodo di convalescenza esteso per molte infezioni comuni e un aumento del rischio di infezione opportunistica. Nei maschi è comune la sterilità temporanea. L’aborto spontaneo oppure l’aumento di incidenza del parto prematuro si verifica comunemente nelle donne incinte.

Da 2 a 3 Sv (da 200 a 300 rem)
L'”avvelenamento radioattivo moderato” comporta una mortalità del 35% dopo 30 giorni (LD 35/30). È comune la nausea continua (nel 100% dei pazienti a 3 Sv), con un rischio del 50% di vomito continuo a 2,8 Sv. I sintomi cominciano da 1 a 6 ore dopo l’irraggiamento e durano da 1 a 2 giorni. Dopo di questo, esiste una fase latente che dura da 7 a 14 giorni e termina con la comparsa dei seguenti sintomi: perdita di capelli e peli su tutto il corpo (con il 50% di probabilità a 3 Sv), stanchezza e malessere generale. Si verifica una perdita massiccia di globuli bianchi, che aumenta molto il rischio di infezione (paragonabile alla fase più grave dell’AIDS). Esiste la possibilità di sterilità permanente nelle femmine. La convalescenza, per una possibile ed eventuale guarigione, necessita di alcuni mesi.

Da 4 a 6 Sv (da 400 a 600 rem)
L'”avvelenamento acuto da radiazioni” comporta un 60% di mortalità dopo 30 giorni (LD 60/30). La mortalità passa dal 60% a 4,5 Sv fino a 90% a 6 Sv (a meno che al paziente si applichi una terapia medica intensiva). I gravi sintomi cominciano da circa un’ora a due ore dopo l’irradiazione e durano fino a 2 giorni. Dopo questo, esiste una fase latente che dura da 7 a 14 giorni, dopo di che appaiono sintomi simili a quelli dell’irraggiamento di 3–4 Sv, con un’aumentata intensità. A questo punto la sterilità femminile definitiva è molto comune. La convalescenza necessita da alcuni mesi fino a un anno. La principale causa di morte (in genere da 2 a 12 settimane dopo l’irradiazione) sono le infezioni e l’emorragia interna.
Harry K. Daghlian, un fisico nucleare armeno-americano di 24 anni, venne irradiato con 510 rem (5,1 Sv) di radiazione il 21 agosto 1945 durante un esperimento di massa critica. All’epoca lavorava nel Los Alamos National Laboratory del Nuovo Messico. L’irradiazione provocò la morte dello scienziato 28 giorni dopo.

Da 6 a 10 Sv (da 600 a 1 000 rem)
L'”avvelenamento acuto di radiazioni” comporta un 99% di mortalità dopo 14 giorni (LD 99/14). La sopravvivenza dipende dalla terapia intensiva medica. Il midollo osseo viene totalmente distrutto, dunque per garantire una discreta probabilità di vita è indispensabile il trapianto del midollo osseo. I tessuti gastrici e intestinali risultano gravemente danneggiati. I sintomi cominciano da 15 a 30 minuti dopo l’irradiazione e durano fino a 2 giorni. In seguito si ha una fase latente che dura da 5 a 10 giorni, dopo di che la persona muore per infezione o emorragia interna. Nei pochi pazienti che recuperano, la guarigione necessita di parecchi anni e probabilmente non sarà mai completa.
L’agricoltore brasiliano Devair Alves Ferreira ricevette una dose di circa 7,0 Sv (700 rem) da una sorgente radioterapica di raggi gamma da cesio-137, abbandonata in una discarica durante l’incidente di Goiânia, ma riuscì a sopravvivere, forse in parte perché la dose era frazionata.

Da 10 a 50 Sv (da 1 000 a 5 000 rem)
L'”avvelenamento acuto radioattivo” comporta un 100% di mortalità dopo 7 giorni (LD 100/7). Un’esposizione così alta porta alla comparsa di sintomi spontanei in un tempo che va da 5 a 30 min. Dopo un’intensa spossatezza e la comparsa di nausea immediata causata dall’attivazione diretta di recettori chimici presenti nel cervello (provocata da radicali liberi, metaboliti e proteine abnormi generati dall’irradiazione), si ha un periodo di alcuni giorni di relativo benessere, chiamato fase latente (o “fase del fantasma che cammina”). Dopo questa settimana, si ha una massiccia morte di cellule nel tessuto gastrico e intestinale, causando diarrea massiva, sanguinamento intestinale e perdita di acqua, che porta allo squilibrio idro-elettrolitico. La morte avviene dopo qualche ora di delirio e coma a causa della cattiva circolazione. Nella stragrande maggioranza dei casi la morte è inevitabile; l’unico trattamento che si può offrire è quello della gestione del dolore.
Louis Slotin rimase esposto a circa 21 Sv in un incidente critico il 21 maggio del 1946 e morì nove giorni dopo, il 30 maggio.

Più di 50 Sv (> 5 000 rem)
Durante l’esplosione di una bomba atomica diventa improbabile sopravvivere ricevendo una dose superiore ai 5 000 rem (50 Sv): i pazienti esposti a dosi superiori di solito muoiono in poche ore o giorni per gli effetti immediati delle ustioni alla pelle prodotte dalle radiazioni nell’ambito dell’infrarosso e della luce visibile, oppure per le contusioni, fratture ed emorragie interne ed esterne prodotte dallo spostamento di detriti e di aria causati dall’esplosione.
Nello Stato nordamericano di Rhode Island, un lavoratore ricevette più di 100 Sv (10 000 rem) dopo un incidente avvenuto a Wood River il 24 luglio del 1964. È sopravvissuto per 49 ore. Cecil Kelley, un operatore del Los Alamos National Laboratory, ricevette in un incidente tra 60 e 180 Sv (6 000 – 18 000 rem) nella parte superiore del corpo e morì il 30 dicembre del 1958, sopravvivendo per 36 ore.

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